Cristo risorto - Monumento della Vittoria di Bolzano
È il calco in grandezza naturale del bronzo Cristo risorto eseguito per il Monumento della Vittoria di Bolzano eretto a memoria dei caduti della guerra da Marcello Piacentini e al quale operarono altri scultori, da Antonio Wildt ad Arturo Dazzi e a Pietro Canonica, secondo un ordine decorativo stabilito da Piacentini stesso, che si servì di Andreotti, oltre che per questo Cristo risorto, anche per un bassorilievo in bronzo con la Vittoria alata che guida un soldato, collocato nella parte a tergo del monumento. “Farò un altare con su il Redentore, una statua dalla cintola in su di 2 m. e 60 e nel retro un campo di battaglia e intorno, come quattro colonne, quattro statue di oltre tre metri, le quattro Virtù cardinali”, scriveva l’artista in data 12 agosto del ‘26 ad Aldo Carpi. In effetti Andreotti aveva pensato, come appare da una sua lettera del 26 a Piacentini, a un vero e proprio “altare fiancheggiato da quattro colonne (che sarebbero) le quattro virtù. Sul fronte della residenza, Cristo uscente dal sepolcro, sul retro un grande rilievo che rappresenta il campo di battaglia, facilmente leggibile a tutti, in quanto è raffigurato con due Vittorie in opposta diagonale, l’una che sorregge il caduto, l’altra che indica il segno del combattente. Per giungere a questo sono passato da vari studi, che ho il torto di non aver registrato, ma ne rimangono alcuni e molti disegni che ne fan parte”. Così come ne fanno parte e documento i gessi che ancora si conservano e che vanno dal bozzetto-studio del Cristo ai bozzetti per la Vittoria alata dai calchi delle quattro virtù a sette bozzetti per esse. Al di là delle reminiscenze iconografiche che vi si vollero vedere (soprattutto insistente il riferimento alla Resurrezione di Piero della Francesca a Sansepolcro e che Andreotti sdegnosamente e appassionatamente respinse: “Che cosa ci ha a che fare il mio Cristo con quello di Piero della Francesca? Cosa? Dove queste cose si somigliano? Un Cristo risorto, non è sempre stato fatto presso a poco così, anche prima di Piero?”, scrisse in una lettera a Papini, confutando la relazione individuata da Ojetti, la scultura vive nel suo valore di blocco singolo sostenuto da “quel profilo della colonna del corpo eretto che è il volume più espressivo dell’opera”, così scrisse Andreotti stesso a Piacentini anche se in effetti nella collocazione reale nel Monumento bolzanino ciò si perde perché troppo addossata alla nicchia che ne vanifica il senso riducendola a valore di bassorilievo. L’intero gruppo delle virtù fu modificato secondo il volere di Piacentini, ridotto a due in un primo momento, diminuito di due terzi della loro altezza (che era prevista di tre metri) e poi, più tardi, completamente escluso dall’insieme, per lasciare il posto a tre teste di Wildt.
Piano: Terra
Sala: Ingresso
Anno: 1926-28
Autore: Libero Andreotti